Etimologicamente resilienza significa resistenza alla rottura, agli urti; dal latino resilire, rimbalzare, reagire, in origine intesa come la capacità di tornare alla forma originaria. Già in antichità il gesto di colui il quale tentava di risalire sulle imbarcazioni rovesciate dal mare veniva connotato con il verbo resalio, divenuto il nome delle qualità di chi non perdeva mai la speranza e continuava a lottare contro le avversità della natura. In tempi più recenti questo verbo è stato mutuato dall’ ingegneria chimica ad indicare la proprietà di quei materiali che nella loro solidità accolgono gli urti e tornano alla forma originaria.
Questa accezione è passata alla filosofia, poi alla sociologia e alla psicologia per la quale la resilienza è un’attitudine che si sposa con la capacità umana, certo non insita in tutti, ma che si può apprendere, di reagire alle difficoltà della vita adattandosi. Una capacità che consente di non farsi abbattere e scoraggiare, ma che ci permette di rispondere in modo adeguato, di adattarci ai cambiamenti con energia e ingegnosità, di ricostruire e ricominciare anche se con scarse energie e mezzi.
Lo ricorda Frankl nel suo Diario di uno psicologo nel lager, che la vita ha un senso che deve essere trovato coscienziosamente per ogni singolo uomo e che questo senso esiste in ogni situazione e condizione “persino gli aspetti tragici e negativi dell’esistenza umana -la sofferenza ineluttabile, per esempio – possono essere trasformati in prestazioni, in quanto l’uomo di fronte ad essi riesce a prendere il giusto atteggiamento”.
Il benessere di un individuo dipende dall’organizzazione sociale nella quale è inserito, non gli basta la sua potenza di singolo, le sue risorse interne. Fattori di protezione famigliari e sociali fanno riferimento a genitori sufficientemente buoni che offrono un adeguato sostegno, a relazioni stabili e positive, a una famiglia allargata variegata e capace di cura nei moment di crisi.
Così come i fattori di rischio che ciascuno di noi è in grado di affrontare sono numerosi, i fattori di protezioni sono innumerevoli e cambiano grazie alla capacità di apprendimento dato dall’esperienza che alimenta quella fiducia e quella speranza indispensabili per andare avanti e farcela.
Ciò che può essere messo in atto a favore di chi questa attitudine non l’ha innata, è mostrare i tratti della resilienza e attraverso i diversi strumenti insegnare le strategie emotive o cognitive, comportamentali o spirituali che attivano la possibilità di costruirla. Fondamentale è il suo apprendimento durante la crescita che è stimolabile a partire da uno sviluppo ricco in abilità e competenze. Resiliente sarà il soggetto in possesso di competenze personali e sociali appropriate, ossia colui il quale sarà capace di avere cura di sé e di coltivarne una visione positiva del mondo, che saprà alimentare speranza verso il futuro alla scoperta costante di sé stesso, che saprà creare relazioni positive e durevoli e mantenere una routine quotidiana armoniosa accettando i cambiamenti che si presenteranno inevitabilmente nella vita.
Perché ciò avvenga sarà necessario facilitare l’apprendimento della capacità di risoluzione dei problemi e del prendere decisioni opportune, dell’uso della creatività e del senso critico, della comunicazione efficace, dell’autoconsapevolezza e della capacità empatica indispensabile ai fini di relazioni interpersonali armoniose, della capacità di gestire le emozioni e lo stress.
Avere un pensiero ottimista, utilizzare un linguaggio propositivo e affermativo, essere capaci di reinventarsi in modo proattivo, avere obiettivi e valori da perseguire e sapere cosa si vuole focalizzandosi sulla soluzione e non sul problema, essere grati e fiduciosi sono atteggiamenti verso i quali ci si può allenare e che possono costruire la premessa per il cambiamento.
La resilienza non emerge solo come abilità di lottare per la sopravvivenza o come capacità di adattamento, essa induce soprattutto alla rivalutazione del significato attribuito a ciò che ci accade e dunque può, ed è auspicabile che avvenga, diventare esperienza trasformativa, scoperta di potenzialità e di talenti, rinnovamento del senso della vita.
Nel kinsugi, l’arte giapponese del riparare i pezzi rotti delle preziose tazze della cerimonia del tè, le linee di frattura vengono evidenziate con lacca rossa e poi ricoperte con polvere d’oro, sottolineando l’importanza di accettare la rottura come un segno di bellezza, un inno alla resilienza e alla fragilità, definita come “l’arte di abbracciare il danno”.
Apprendere ad essere resilienti consente dunque di imparare a vedere l’esistenza per quello che è: trasformazione costante, rifondazione continua di valori, desideri, progetti, attraversamento di tappe ricorsive con la possibilità di ri-nascita, di ri-decisione del proprio copione di vita, di raggiungimento di quelle potenzialità che ci sono più proprie così da diventare protagonisti della propria esistenza.
Non si tratta allora di essere semplicemente solidi. Per dirla con il filosofo Taleb si tratta di essere antifragili: quando una cosa è solida è resiliente e torna alla propria forma originaria, mentre essere antifragili significa avere la capacità di ricevere gli urti e diventare più forti grazie agli urti stessi “non esiste una parola che descriva l’esatto opposto di fragile. Chiamiamolo allora antifragile. L’antifragilità va al di là della resilienza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste agli shock e rimane identico a sé stesso; l’antifragile migliora. Questa qualità è alla base di tutto ciò che muta nel tempo.” È questa la condizione filosofica del sapersi affidare all’esistenza: non è il “non ti farai male”, ma è il “anche se ti farai male questo entrerà all’interno di un percorso che poi potrai tessere” che ha a che fare con la magia della vita e delle scelte….
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