“Ognuno ha il proprio sistema di valori, e in base a questo sistema si comporta nel corso dell’esistenza. Io ho il mio, ed è quello a cui mi attengo […] a pensarci bene una persona riesce a costruire la propria personalità e a preservare la propria autonomia proprio perché è differente da tutte le altre.”
L’arte di correre si presenta come un insieme di riflessioni e di narrazioni autobiografiche che Murakami raccoglie nel corso della propria vita e che suonano come un voler parlare di sé parlando di corsa e di scrittura. Non c’è alcuna volontà di insegnare qualcosa in merito alla corsa, sembra una sorta di diario personale in cui vengono appuntate parti di vita e di anima dell’autore, nelle quali potersi immedesimare a seconda della proiezione che ognuno di noi riesce a fare. Un linguaggio scevro da evocazioni, quasi “secco” nella sua chiarezza, un richiamo continuo alla spinta verso la vita, la scelta e la perseveranza.
“…le ferite spirituali non rimarginate sono il prezzo che gli esseri umani devono pagare per la propria indipendenza […] e quest’idea ha sempre ispirato la mia vita. La solitudine è un risultato che in parte ho cercato di mia spontanea volontà […] è un micidiale arma a doppio taglio […] protegge lo spirito, e al tempo stesso dall’interno continua senza sosta a ferirlo […] ho cercato di lenire, di relativizzare quel senso di solitudine che mi tenevo dentro costringendomi a un costante esercizio fisico.”
La corsa diventa uno strumento per raggiungere la coscienza di ciò che si è, una forma di meditazione che rafforza corpo e spirito, e apre alla possibilità di accettare sé stessi, i propri limiti e i propri confini. Ma apre anche al consolidamento delle proprie vocazioni: un gesto ripetuto che diventa consapevolezza. La solitudine è un bisogno profondo da assecondare e da contenere per trovare quella dimensione capace di far emergere la propria spiritualità.
“La pazienza, la scrupolosità e la resistenza fisica sono sempre stati i miei soli titoli di merito, sin da quando ero bambino. […] Fino ad allora ero stato troppo occupato a sopravvivere, a tenere la testa fuori dall’acqua, per pensare ad altro. Cominciavo ad avere fiducia in me stesso: se avevo scalato il primo, ripido gradino della vita, se ero riuscito ad arrivare in un posto un poco più spazioso, a meno che non succedesse qualcosa di veramente grave in qualche modo ce l’avrei fatta a salire anche gli altri. […] mi sono voltato a osservare il cammino percorso e ho pensato al passo seguente.”
Nulla si ottiene senza dedizione e cura, perseveranza e tenacia. E allora il cammino sarà orientato verso l’essere sempre più se stessi.
“Una volta usciti dalla prima giovinezza, nella vita è necessario stabilire delle priorità. Una sorta di graduatoria che permetta di distribuire al meglio tempo e energia. Se entro una certa età non si definisce in maniera chiara questa scala dei valori, l’esistenza finisce col perdere il suo punto focale, e di conseguenza anche le sfumature.”
Ma si tratta di scegliere, di aver chiaro il senso di ciò che è importante e ciò che può essere tralasciato. Si tratta di non subire la vita ma di esserne protagonisti, di esprime potere su ciò che vogliamo.
“Ciò che conta per me è tagliare un traguardo dopo l’altro con le mie gambe. Usare tutte le forze che sono necessarie, sopportare tutto ciò che devo e alla fine essere contento di me. Imparare qualcosa di concreto dagli sbagli che faccio e dalla gioia che provo. E gara dopo gara, anno dopo anno, arrivare in un luogo che mi soddisfi o almeno andarci vicino. […] Semmai ci sarà un epitaffio sulla mia tomba, vorrei che venissero scolpite queste parole: “se non altro fino alla fine non ho camminato.”
Ne deriva una grande motivazione a fare qualunque cosa noi desideriamo, a seguire la nostra vocazione percorrendo il cammino che ci è più consono sospendendo la critica e il giudizio. Per essere felici è necessario allora seguire il fiume della propria energia e assecondare le strategie che ci somigliano per godere di questa vita che è l’unica che abbiamo.
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