«… Tutto quel che vuole, sissignore, ma sono le parole che cantano, che salgono e scendono… Mi inchino dinanzi a loro… Le amo, mi ci aggrappo, le inseguo, le mordo, le frantumo… Amo tanto le parole… Quelle inaspettate… Quelle che si aspettano golosamente, si spiano, finché a un tratto cadono… Vocaboli amati… Brillano come pietre preziose, saltano come pesci d’argento, sono spuma, filo, metallo, rugiada… Inseguo alcune parole… Sono tanto belle che le voglio mettere tutte nella mia poesia… Le afferro al volo, quando se ne vanno ronzando, le catturo, le pulisco, le sguscio, mi preparo davanti il piatto, le sento cristalline, vibranti, eburnee, vegetali, oleose, come frutti, come alghe, come agate, come olive… E allora le rivolto, le agito, me le bevo, me le divoro, le mastico, le vesto a festa, le libero… Le lascio come stalattiti nella mia poesia, come pezzetti di legno brunito, come carbone, come relitti di naufragio, regali dell’onda… Tutto sta nella parola […].»
Confesso che ho vissuto, Pablo Neruda – 1974
Ciò che serve è una nuova narrazione: capire le parole rileggendole e portandole da un passato a un futuro attraverso un presente rinnovato e rinnovante. Serve una certa audacia per trasformare un ‘qui ed ora’ straniante in uno spazio nuovo, meditativo, che accolga nel suo vuoto ricchezza e la proietti verso un futuro libero da ripetizioni e da copie balbettanti di un passato infruttuoso. Ri-narrare e ri-narrarsi usando tutto le spazio contenuto nelle parole e ascoltarne l’eco che ne contiene tutti i significati e ne svela i valori dimenticati.
A. M.
Lascia un commento