«Essere donna – in termini arendtiani – è sempre un pensare a partire da sé e un fare ciò che ci va di fare, un pensiero che non è mai semplicemente allineato. Comprendere al femminile è una forma di agire, un’attività senza fine, con cui «veniamo a patti» e ci «riconciliamo con la realtà, cerchiamo cioè di sentirci a casa nel mondo» .
PAPA A., Nati per incominciare. Vita e politica in Hannah Arendt
‘Stupirsi’, scriveva Aristotele. Hannah Arendt amava citarlo e usava la parola ‘stupirsi’ nell’accezione di ‘fermarsi a pensare’ e concedersi la disponibilità ad essere colpiti, sorpresi, a rispondere senza troppa presunzione o troppi pregiudizi.
Arendt annotava i suoi pensieri nel momento in cui insorgevano in quaderni prevalentemente scritti in lingua tedesca, la sua Muttersprache. Discuteva fra sé e sé degli autori che leggeva, tornava su certi temi che l’assillavano: il male, il bene, la vita, l’amore, il perdono e la solitudine. Tornava e ritornava sui grandi ‘nomi del pensiero’ coi quali intratteneva un sacro dialogo sulla ‘responsabilità’, il suo grande tema e il suo grande dono.
Ha avuto maestri straordinari e controversi Arendt, ma soprattutto ha coltivato l’indipendenza; non parlava di sé se non raramente e ribadiva sempre che la sua esistenza era per lei, oltre che un’esperienza, il banco prova del suo pensiero. Nella sua voce unica e singolare hanno risuonato i toni dell’indignazione e dell’ironia, se non del sarcasmo e dell’insofferenza; ma al contempo della gratitudine «per le poche cose elementari che ci sono invariabilmente date, come la vita stessa, l’esistenza dell’uomo e il mondo»; una gratitudine che si è radicata nella convinzione che «il mondo, così come Dio l’ha creato, a me sembra buono».
Questo lo sfondo di tutte le sue argomentazioni, per le quali ha usato il termine ‘uomini’, al di là del genere, per dire che ci sono momenti in cui quel termine universale ha un volto di donna. Un pensiero nuovo, che sfrutta lo sguardo del suo essere un’outsider, perché una donna sa, se ascolta la propria umanità, che l’ideale non sono né la potenza, né il potere, ma la ‘cura’, la protezione, l’attenzione e l’amore del mondo.
La sua idea di ‘natalità’, che si schiude nell’essere-per-la-vita’, ci ricorda poi che si è sì ‘gettati nell’esistenza’, ma capaci e pronti all’azione; che si pensa sì da soli, ma sempre in aperto colloquio con l’altro, in ascolto della propria interiore disciplina etica.
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