«È perché possiamo raccontare storie che l’esistenza vale ancora la pena di essere vissuta».
G. Steiner
Dalla nascita alla morte l’uomo non fa altro che narrare, narrarsi e farsi narrare un NUMERO infinito di storie. Queste continue narrazioni da un lato hanno lo scopo di creare un’immagine semplificata del mondo dentro il quale siamo ‘gettati’, così da consentirci di sopravvivere di fronte alla sua smisurata complessità; dall’altro ci consentono di costruire un’ immagine di noi stessi per quanto provvisoria e mutevole. L’immagine del mondo e l’immagine di noi stessi sono strettamente correlate e mutano nei giorni e negli anni grazie all’ esperienze che viviamo.
Sono molti gli strumenti che l’uomo utilizza per introdurre ordine nel Caos naturale della vita: la filosofia, l’arte, il mito, il racconto, il mito, il teatro, la scienza. Tutti questi espedienti sono forme di narrazione, che usano linguaggi diversi e si pongono scopi diversi per cercare di giungere a ciò che è centrale nella percorso umano: il significato della vita, del nostro essere provvisori, del nostro ‘essere per la morte’, parola quasi completamente dimenticata dal nostro vocabolario.
La letteratura si caratterizza per l’andare oltre le parole e la narrazione, è il lavoro continuo del linguaggio interiore, di quel parlare tra sé e sè, che diviene racconto orale o scritto nella conversazione e nel dialogo. Come diceva Montale, «nessuno scriverebbe versi se il problema fosse quello di farsi capire. Il problema è di far capire quel quid al quale le parole da sole non arrivano».
Attraverso i grandi narratori (Pavese, Kafka, Bassani, Calvino, Musil, Dostoevskij, Proust e i tanti altri della letteratura di tutte le epoche) ci viene offerto uno sguardo sulla verità e la forza della narrazione che ci consente di immergerci nella nostra profondità. Raccontare è una pratica attiva che ci fa comprendere come il mondo e la sua complessità non si possano rappresentare con un unico linguaggio e da un unico punto di vista.
L’importanza del narrarsi e della narrazione è straordinariamente messa in luce dal racconto di Karen Blixen presente ne La mia Africa: «Un uomo che viveva presso uno stagno, una notte fu svegliato da un gran rumore. Uscì allora nel buio e si diresse verso lo stagno ma, nell’oscurità, correndo in su e in giù, a destra e a manca, guidato solo dal rumore, cadde e inciampò più volte. Finché trovò una falla sull’argine da cui uscivano acqua e pesci: si mise subito al lavoro per tapparla e, solo quando ebbe finito, se ne tornò a letto. La mattina dopo, affacciatosi alla finestra, vide con sorpresa che le orme dei suoi passi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna». Karen Blixen si chiede: «quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò o altri vedranno una cicogna?». Il significato del racconto sta proprio nella semplice figura che compare alla fine di quel percorso apparentemente insensato e che si rivela senza essere conseguenza di nessun progetto. Hannah Arendt nel suo saggio su Karen Blixen osserva: «la storia rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi».
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