Nel IV canto del Paradiso Dante con la sua ricchezza linguistica aveva già detto molto sul tema dell’empatia come capacità di aver contezza, entro certi limiti, dell’altro da me.
“[…] Se fossi un’anima beata senza corpo come te, non avrei bisogno che tu mi domandassi qualcosa per intuarmi come tu m’intui”. Il pensiero parafrasato del sommo poeta focalizza il tema dell’empatia inteso come un sentire con l’altro, tema che entra nel dibattito moderno delle scienze cognitive solo alla fine dell’800 per migrare poi agli studi estetici e letterari.
Edith Stein, che tanta parte del suo pensiero filosofico ha dedicato al tema in questione, sostiene che l’empatia debba essere intesa come un sentire dentro l’altro non solo riferito a emozioni e sentimenti provati dall’altro ma debba essere un fare esperienza, un comprendere l’altro a partire da una relazione di somiglianza globale. In questi termini la questione dell’empatia diviene un aspetto cruciale anche per il tema dell’intersoggettività intesa come riconoscimento di un’altra mente.
Dante con la sua intuizione poetica sembra anticipare gran parte delle metafore utilizzate dal mondo scientifico per comprendere i meccanismi dei neuroni specchio che ricadono sul tema dell’empatia. Il dibattito interdisciplinare sul funzionamento del cervello vede coinvolte neuroscienze, psicologia cognitiva e empatia estetica unite nel confermare l’importanza del dialogo tra sistema nervoso e ambiente. Le ricerche dimostrano infatti che nel cervello umano lo stesso neurone che si attiva quando si compie un’azione si accende anche quando la si vede compiere da un altro soggetto. I neuroni simulano dunque le azioni e ciò si realizza anche quando si immagina di compierle, ciò priva di sostanza la differenza tra immaginazione e realtà.
È interessante osservare come i meccanismi di rispecchiamento si trovino anche nei domini delle emozioni e delle sensazioni. Negli studi cognitivi sotto il termine empatia vengono raccolti due processi che tengono insieme il ruolo delle emozioni e il movimento dell’immaginazione: uno percettivo-affettivo denominato mirroring e uno cognitivo denominato mentalizing. Si tratta studi particolarmente interessanti per chi si occupa di biblioterapia e guarda all’empatia narrativa come ad un dato la cui presenza è determinante ai fini dell’efficacia del processo biblioterapico.
Gli studi cognitivi supportano la tesi secondo la quale quando leggiamo una storia proviamo le stesse sensazioni ed emozioni che proviamo quando siamo attori nella nostra vita sociale. L’identificazione emotiva con un personaggio o una situazione corrisponderebbe al meccanismo di attivazione vicaria delle aree coinvolte durante il compimento di azioni e percezioni simili secondo un’attività chiamata simulazione.
L’empatia è attiva dunque sul fare, sul veder fare e sull’immaginare di fare; ossia sia sul piano dell’espressione, sia su quello della ricezione. Per questo parlare di empatia e di intersoggettività legate all’esperienza estetica (sia essa un’opera d’arte, un testo letterario, o altra espressione di creatività) implica un’attenzione diretta ai soggetti protagonisti, i quali non sono solo puri ricettori ma rispondono attivamente facendo esperienze e vivendo emozioni; si tratta al contempo di un vedere come se e di un sentire in modo incarnato e corporeo.
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