QUALCOSA PER CUI VIVERE
di Richard Roper, Einaudi Stile Libero BIG
Ho trovato questo atipico romanzo di Richard Roper interessante dal punto di vista biblioterapico. La vita del protagonista sembra essersi congelata; dietro a un’apparente felicità familiare, ostentata tra i pochi colleghi di lavoro, egli è completamente solo.
Bloccato all’interno di questa maschera che ha scelto quasi inconsapevolmente di indossare a seguito di eventi traumatici, vive una vita fuori dal proprio sé, cercando in tutti i modi di diventare o essere qualcun altro così da poter ignorare il dolore del vuoto che lo affligge.
Ne suo appartamento fatiscente non vive alcuna famiglia perfetta, non esiste una moglie che lo aspetta, nessun figlio a impensierirlo, nessuna quotidianità; solo una collezione di trenini elettrici a cui dedica ogni momento libero. Il resto se lo è inventato trasformando di giorno in giorno un banale equivoco in una terribile trappola che rende la sua solitudine ancora di più insopportabile.
Dovrà arrivare un’altra anima, una giovane donna vitale e maldestra, perché questo uomo possa iniziare il suo cammino eroico verso consapevolezza e azione liberatoria. Disorientato prima, e poi via via sempre più innamorato della leggerezza con la quale questa fata sui generis porta con sé la pozione magica della rinascita, il nostro protagonista subisce un incantesimo rovesciato e si risveglia dal lungo sonno che gli ha negato per tanto tempo identità autentica e sentimenti reali.
La fragilità di questa vita dimenticata, ma capace di rispondere alla chiamata della rinascita, mi ha ricordato la sua versione patologica incarnata dal protagonista fin troppo reale de L’avversario di Carrère. L’atrocità con la quale questa storia evolve non ha nulla a che vedere con quella del nostro protagonista lieve e gentile, eppure mi ha portata a riflettere sulle parabole terrificanti alle quali solitudine e malattia possano portare.
L’evoluzione che vive il protagonista di Qualcosa per cui vivere sembra rispecchiare al contrario il pensiero di Socrate per il quale “una vita non esaminata non vale la pena di essere vissuta”. L’incontro evolutivo non è solo con l’altro da sé, che diventa mentore e guardiano al contempo, ma è soprattutto con sé stesso perché la verità è sempre già tutta scritta dentro di noi.
“Un giorno mi si è presentata la possibilità di creare questo mondo, questo luogo immaginario in cui tu eri viva, e non ho resistito. Doveva durare poco, ma la cosa mi è sfuggita di mano. Dopo un po’ di tempo mi inventavo perfino i nostri litigi, i rimpianti per non aver vissuto appieno le nostre vite, per non aver visto il mondo. E questa è solo la punta dell’iceberg. Non ho trascurato nessun dettaglio. Perché non mi sono inventato solo una vita, ma un milione di vite diverse, che avremmo potuto avere, ogni possibile bivio lungo la via. Certo, ogni tanto sentivo che ti allontanavi e capivo che mi stavi chiedendo di lasciarti andare, ma questo mi spingeva a trattenerti con maggior forza. Sono dovuto arrivare in fondo al pozzo per mettermi a pensare seriamente a quello che stavo facendo e a cosa ne avresti detto tu. Mi dispiace così tanto di non averlo fatto prima, spero tu possa perdonarmi, anche se non lo merito.”
È BIBLIOTERAPICO PERCHÉ… ci mette a confronto con la necessità di autenticità che si muove in ognuno di noi. Ci mostra come la ricerca delle risorse atte al cambiamento passi attraverso la riassociazione e la ristrutturazione delle nostre esperienze passate.
È BIBLIOTERAPICO PERCHÉ… ci mostra come noi tutti siamo avvolti da una rete di relazioni che ci definisce e ci sostiene e come il nostro cambiamento si ripercuota sull’intero sistema. Il dramma sociale dell’abbandono e della solitudine, il disagio di vivere in un presente frenetico, volto solo al risultato e all’apparenza sono argomenti che coinvolgono tutti noi. E tutti noi siamo possiamo immedesimarci nel bisogno di essere amati e protetti che muove il protagonista, bisogno ascrivibile tra i principali diritti universali, motivo per cui l’educazione al sentimento ha un valore altissimo che può orientare una vita verso una serenità condivisa.
“Ti ho scritto una lettera, una volta. C’eravamo messi insieme da poco e avevo paura di allontanarti, per questo non te l’ho mai data. Ti ho scritto che il giorno in cui siamo stati insieme la prima volta, qualcosa in me è cambiato per sempre. Fino ad allora non mi ero mai reso conto che la vita può essere meravigliosamente semplice. Vorrei essermene ricordato anche dopo che te ne sei andata.’
Restò lì in silenzio, investito da un’ondata di un dolore stranamente liberatorio. Un dolore che sentiva di dover attraversare, perché era come l’inverno che precede la primavera, il cuore che si spezzava per poter guarire.”
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