“Non posso più essere seme che nutre gli altri, vivo per sottrazione ora, per farmi protetta, e mi scavo lo spazio che serve a rimettere a posto i pezzi. Cammino sola sulla Terra, e lo Straniero ha deciso di tenermi ugualmente compagnia.”
“La sua era gentilezza, non galanteria, e mi ha fatta debitrice, mi leggeva negli occhi e fuggiva via, a occupare l’imbarazzo col cibo. Si preoccupava di avere cura e non chiedeva che io ne me accorgessi, mi sembrava avesse la capacità di non dire le cose sbagliate, non sprecava parole, mi nutriva di sorrisi.”
“Lo straniero mi raccontava del desiderio di piantare abeti anche lì, mi parlava del desiderio di pace che lo ha spinto qui, dell’oblio che gli dà respiro senza tuttavia generare disinteresse per il mondo, che questi sono tempi nei quali no si può essere in fuga, indifferenti, tempi che obbligano a stare, a are, anche le cose più piccole, per gli altri, a essere generosi. E anche questo fare in lui è piantare alberi, aiutare la montagna a resistere. Si è riempito la bocca con un sospiro, […] e ha ribadito che siamo tutti obbligati ad avere cura di ciò che non ci riguarda da vicino, di ciò che è altro da noi, di ciò che verrà, per chi verrà. È il tempo della semina, ha concluso…per ricordarmi che non siamo niente. E aiutarmi così a dare più valore a tutto.”
Da “La donna degli alberi” di Lorenzo Marone
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