“La vita istruzioni per l’uso” di Geroges Perec
Recensione a cura di Gaia Miglietti
Georges Perec è stato uno scrittore geniale, membro di spicco dell’OuLiPo (Officina di Letteratura Potenziale) e grande amico di Calvino. Ebreo di origine polacca, i suoi genitori muoiono durante la Seconda guerra mondiale – il padre combattendo e la madre in campo di concentramento – quando lui è ancora bambino. Cresce con gli zii paterni, serve come paracadutista nei Pirenei francesi e scrive parole crociate per il giornale ‘Le Point’. Tutte storie che ritornano in La vita istruzioni per l’uso, probabilmente il suo libro più noto, pubblicato nel 1978. Non certo un libro di facile lettura. Che bisognerebbe leggere e rileggere e rileggere per capire a fondo.
Si tratta di 726 pagine (ed. Rizzoli, 2005) in cui Perec illustra nei minimi dettagli la vita degli abitanti di vecchio un palazzo parigino a metà ‘900. I personaggi non vengono presentati in modo omogeneo ma fanno incursioni apparentemente casuali che simulano lo schema del cavaliere degli scacchi e di volta in volta Perec ne aggiunge sempre più dettagli. Non si arriva a conoscere i personaggi solo attraverso le loro storie ma, soprattutto, attraverso gli spazi che abitano quotidianamente: profumi e odori, colori, vuoti e pieni, suppellettili e chincagliere. Perec dimostra che si può capire molto di più di un uomo osservando il suo spazio piuttosto che ascoltandolo parlare. Le parole di questa comunità narrata sono spesso false, faziose o semplici pettegolezzi vacui.
«Tutto questo dice una storia molto tranquilla, con i suoi drammi di cacche di cane e le sue tragedia di pattumiere, la radio troppo mattutina dei Berger e il loro macinino che sveglia la signora Réol, il carillon dei Gratiolet di cui Hutting continua a lagnarsi, o le insonnie di Léon Marcia che i Louvet sopportano a stento: il vecchio infatti cammina per ore in camera sua, su e giù su e giù, poi va in cucina a prendersi un bicchiere di latte nel frigorifero, o in bagno a sciacquarsi un po’ il viso, o apre la radio e ascolta, in sordina ma sempre troppo forte per i vicini, dei programmi tutti gracchianti che sono e vengono dalla fine del mondo». (p. 329)
In queste pagine compaiono elementi della vita dell’autore e anche della nostra. Un intreccio di quotidiano e racconto che rivela quanto, in fondo, le nostre vite si assomigliano un po’ tutte: amori, difficoltà, malattie, passioni, viaggi e morti. Quando si legge per la prima volta questo libro è necessario tenere conto della devozione alla sperimentazione letteraria di Perec. La vita istruzioni per l’uso racconta certo l’Umanità con i suoi pranzi luculliani, le bollette non pagate, i cuori infranti ma più che un libro dalle potenzialità catartiche si tratta di un esercizio di stile. Un’antologia di vite che Perec narra come stesse costruendo un puzzle, di un vecchio palazzo in Rue Simon-Crubellier, numero 11.
QUESTO LIBRO È BIBLIOTERAPICO?
A cura di Alessandra Manzoni
Non si può non rimanere affascinati da un libro come questo, per la complessità del suo impianto, per la ricchezza del lessico e per la profondità del contenuto. Ciò non di meno la struttura che lo sostiene è molto elaborata e contorta e per questo non può essere considerato nella sua totalità un testo biblioterapico. Esso, infatti, non presenta le caratteristiche stilistiche e tematiche necessarie per essere utilizzato in un laboratorio di biblioterapia: la lunghezza, il numero di personaggi, le sovrapposizioni delle immagini, rendono la lettura faticosa.
Gaia nella sua puntuale recensione rileva come la tematica generale del libro abbia carattere universale e ci ricordi che la domanda che tutti noi ci poniamo è “quale sia il senso della vita”, domanda la cui risposta sfugge all’uomo lasciandogli un senso di vuoto sebbene sia circondato da un ambiente pienissimo. L’uomo moderno è accomunato da una routine quotidiana quasi soffocante e a tratti maniacale, che nel libro di Perec emerge dalle posture esistenziali e ambientali dei personaggi.
La cultura di Perec è enciclopedica, la quantità di informazioni che questo libro racchiude è incredibile, per questo il suo utilizzo ai fini biblioterapici potrebbe avvenire solo estrapolando delle parti significative da poter leggere ad alta voce con l’obiettivo di far riflettere sugli stimoli proposti con una procedura più filosofica o letteraria e meno proiettiva o catarchica.
Dalla recensione della brava Gaia Miglietti, mi è piaciuto molto questo pensiero: “Si può capire molto di più di un uomo osservando il suo spazio piuttosto che ascoltandolo parlare”.
E’ vero, la formazione dell’essere umano, è determinata dallo “spazio” in cui vive, direi che è il suo vestito, che identifica la sua cultura, il suo modo di vivere, la sua educazione.