Narrare la potenza della vita straordinaria di una donna fuori dal comune: questo l’intento dell’autrice che con coraggio si misura con l’esistenza della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad, donna che ha vissuto tante vite, spesso tragiche, sovrastando con intensità e passione la Storia, il Tempo, la Geografia delle sue radici.
La poesia, che rappresenta un elemento fondante della cultura persiana, è per Forugh strumento di liberazione. La sua creatività disperata si incanala in quelle liriche bellissime che dall’adolescenza alla giovane maturità ella produce senza sosta, diventando ossigeno per quel fuoco capace di bruciare la gabbia che la tiene serrata.
Saluterò di nuovo il sole,
e il torrente che mi scorreva nel petto,
e saluterò le nuvole dei miei lunghi pensieri
e la crescita dolorosa die pioppi in giardino,
che con me hanno percorso le secche
Saluterò gli stormi di corvi
che a sera mi portavano in offerta
l’odore dei campi notturni.
Saluterò mi madre, che viveva in uno specchio
e aveva il volto della mia vecchiaia.
E saluterò la terra, il suo desiderio ardente
di ripetermi e riempire di semi verdi
il suo ventre infiammato,
sì, la saluterò,
la saluterò di nuovo.
Forugh è prima una bambina e poi una donna complessa; da subito ribelle e sfrontata, incapace di assoggettarsi a quell’educazione alla mitezza e al silenzio che la tradizione patriarcale impone ieri come oggi alle donne persiane. È una donna coraggiosa che è stata in grado di rinunciare a molto in nome della libertà e dell’amore. Rinuncia al suo essere madre e con questa scelta impopolare accoglie il trauma e la disperazione che accomuna le decisioni che non seguono i dettami riconosciuti. Rinuncia alla famiglia, a quella madre sottomessa, a quel padre violento, e accetta di essere cacciata; rinuncia alla sicurezza e alla protezione di un amore convenzionale in nome di passioni autentiche e irrepetibili che l’hanno liberata e intrappolata allo stesso tempo.
“Sei una donna coraggiosa” disse quando finì.
“Anche se quello che ho fatto mi è costato mio figlio?”
…certo lo ero anche se mi era costato mio figlio. E non avevo
sbagliato ad abbandonare mio marito. E non ero né pazza
né senza cuore. Ma lei non mi dette né torto né ragione. Mi ascoltò e basta.
Nonostante le ritorsioni dell’ambiente che la circonda e gli scandali che si susseguono, Forugh prosegue a testa alta nelle sue scelte di vita diventando nel tempo un simbolo della nascita di una coscienza femminile: “Perché dovrei fermarmi? E’ solo la voce che resta”. La libertà che sembra ostentare la fa diventare un personaggio scomodo: le sue idee diventano impopolari presso la società bigotta iraniana; le sue poesie, canti di passione e di protesta al contempo, compromettono la sua reputazione fino ad essere ricoverata per un periodo e sottoposta a torture e terapie psichiatriche.
“Quando ti lasciano uscire da quella stanza ti dicono che non puoi leggere libri né scrivere poesie perché la tua mente è malata. Ti dicono che leggere e scrivere ti faranno peggiorare … Sei una donna che è stata allontanata dal padre e ripudiata dal marito, una donna che il figlio riconosce sempre meno e presto non riconoscerà più. Sei una donna che vive in una stanza con serrature delle quali non ha la chiave, con finestre che tagliano il cielo. Sei una delle tante donne, giovani e vecchie, che sono state cacciate di casa per motivi che non conoscerai mai, figurati capirli, e come loro sei stata chiusa fra le mura di una villa, in una provincia famosa per la sua aria pulita e la luce morbida dei suoi lampioni francesi.”
Dimentica tutta quella violenza e torna alla sua poesia, al cinema, torna alle sue idee politiche. Le crepe che hanno segnato la sua anima, ferite e segni di pericolo, di dolore di contrasto, hanno lasciato intravedere la luce per la quale ha sempre lottato. Dolore e bellezza, forza e fragilità, gli estremi in cui la sua vita si è mossa cercando la luce anche nell’oscurità attraverso quel veicolo straordinario che è stata per lei la poesia.
Io sono della stirpe degli alberi
Mi turba respirare l’aria infetta
Mi consigliò un uccello morto
di non dimenticare il volo.
Il fine di tutte le forze è giungere,
giungere all’origine luminosa del sole
e calare nella percezione della luce.
da È solo la voce che resta
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